domenica, aprile 06, 2003

... E pace agli uomini di buona volontŕ.

Sapete... a volte mi chiedo come si possa parlare di pace se non si č mai conosciuta davvero la guerra. Dire "pace" mi fa sentire ipocritamente buonista, un po' il don Abbondio della situazione... ricordate? "Questo matrimonio non s'ha da fare...".
La pace č uno stato di grazia che per sua natura l'uomo non č in grado di mantenere. E spesso neanche di comprendere.
Cos'č che ci fa dire "pace"?
Non condividere i motivi di un conflitto? La pietŕ per la vita di chi in quel conflitto potrebbe morire o muore? La paura di essere coinvolti? Il principio, punto e basta?
Ognuno, insomma, aspira al proprio concetto di pace, ma ognuno, in fondo avrŕ una guerra giusta o ingiusta da portare avanti nella vita.
Io, nella pace, non credo. La pace č una chimera, un concetto virtuale, perché nel reale č sempre fonte di grandi compromessi. Perché la pace esige la volontŕ del totale rispetto delle persone, della loro cultura, del loro modo di fare e purtroppo gli uomini non hanno virtů cosě elevate (tranne rare eccezioni). Soprattutto, poi, se c'č di mezzo denaro, potere, controllo.
Credo invece nelle idee, e nel sacrificio per portarle avanti.
Quindi nessun commento su quanto sta accadendo in Iraq. Mi concedo solo una battuta ironica: ma in questo Iraq "liberato" ci sarŕ posto anche per gli iracheni?
Segnalo invece un link che mi hanno indicato nella comunitŕ professionale che frequento. Per dire che la guerra sta continuando anche altrove e che questo grande movimento per la "pace" dovrebbe davvero trasformarsi in un movimento per il "rispetto" dei valori umani e politici. Fno ad allora "pace" resterŕ solo una parola di quattro lettere.

Rachel Corrie
The Palestine Monitor
Rachel Corrie Memorial

giovedì, aprile 03, 2003

.... All'arrembaggio!!!


"Le cifre stimate per la ricostruzione dopo il conflitto dell'Iraq vanno oggi dai 25 ai 100 miliardi di dollari. Secondo Rubar Sandi, membro del gruppo di lavoro del Future of Iraq Project del Dipartimento di Stato Americano dedicato alle infrastrutture informatiche e di telecomunicazioni, il costo per ammodernare le reti di voce e dati dell'Iraq potrebbe aggirarsi attorno a 1/1,5 miliardi di dollari, richiedendo dai sei agli otto anni per essere completato. Rubar Sandi č un rifugiato curdo, proprietario di una banca d'affari con sede a Washington.

A questo proposito, la Defense Information Systems Agency (Disa) avrebbe giŕ preso contatti per provvedere al cablaggio in fibra ottica del Paese. Č possibile siano le stesse che in passato hanno giŕ offerto al governo americano i loro servizi in altri teatri di guerra. Come Sprint, giŕ presente in Bosnia, o Worldcom, tra i fornitori piů graditi della Casa Bianca. Mentre all'orizzonte s'affacciano nuove star delle forniture al Pentagono, come Computer Sciences, che in ragione dell'acquisto di DynCorp, assiste l'amministrazione americana giŕ sul fronte di guerra.

Il ruolo degli esuli oppositori del regime potrebbe essere centrale nei piani di Washington, anche soltanto per ragioni di opportunitŕ politica. Secondo Ahamed Al-Hayderi, ex dirigente della Nokia Communications canadese, anch'egli membro del gruppo di lavoro hi tech del Future of Iraq Project e portavoce dell'Iraqi Forum for Democracy, tra i quattro milioni di iracheni in esilio vi sarebbero infatti molti executive di societŕ di informatica e telecomunicazioni pronti a investire nella ricostruzione.

A rischiare di piů, nell'affare della dorsale tecnologia irachena, č il colosso francese Alcatel, incaricato dalle Nazioni Unite, nel quadro del programma Oil for food, di ripristinare e ammodernare le telecomunicazioni irachene dopo il conflitto del 1991, nonché beneficiaria finora di contratti per 85 milioni di dollari. Commesse che nel dopoguerra potrebbero essere azzerate".

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